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Frasi che contengono la parola labieno

) e tre legioni (affidate a Tito Labieno). I Romani, una volta raggiunta la retroguardia dell'enorme massa di armati che si snodava disordinatamente lungo il fiume Aisne in direzione ovest, ne approfittarono per farne grande strage fino al tramonto.

, a circa quattordici miglia ad est della Mosa. Labieno ricorse a uno stratagemma: fece credere al nemico di essere stato terrorizzato dal suo gran numero e di aver deciso di far ritorno al campo base, ma quando i Treveri, passato il fiume in massa, si misero all'inseguimento dell'esercito romano, che credevano essere in fuga, trovarono al contrario un'armata schierata che li stava aspettando. La battaglia fu favorevole ai Romani, i quali non solo riuscirono ad ottenere la resa di questo popolo e la fuga dei parenti di Induziomaro, ma trasferirono il potere nelle mani di Cingetorige, da sempre principe filo-romano.

Al termine di quei due giorni il proconsole decise di togliere l'assedio e di ricongiungersi con le quattro legioni che aveva lasciato presso i Parisi sotto il comando di Labieno: riteneva necessario compattare le forze ed affrontare il nemico prima che il malcontento si diffondesse all'intera Gallia. Gli stessi Edui si erano ribellati nuovamente, quando dall'assedio di Gergovia ritornarono

Cesare, unitosi a Labieno e alle sue legioni ad Agedinco, decise di riparare presso i vicini ed alleati Lingoni, rafforzando le sue truppe con reparti di cavalleria germanica mercenaria (era il secondo squadrone che il generale romano arruolava nel corso della guerra). Riprese, infine, la strada verso sud in direzione della Gallia Narbonense, ma a nord-est di

, ovvero gli accampamenti invernali, fossero posizionati: tre-quattro legioni nel paese di Lessovi, Aulerci e Veneti; le tre legioni di Quinto Titurio Sabino tra le nazioni appena sottomesse; parte della cavalleria con Tito Labieno, forse ancora tra i Treviri ed i Remi; mentre Publio Licinio Crasso in Aquitania con dodici coorti.

il comandante romano sconfisse nettamente la temuta cavalleria dei Parti che, senza ricongiungersi con le residue forze di Labieno, si era incautamente lanciata in una carica in salita contro le legioni opportunamente schierate da Ventidio sulle pendici dominanti dell'altura. Le residue truppe di Quinto Labieno si disgregarono o defezionarono e lo stesso Labieno, che aveva tentato di trovare rifugio in Cilicia con alcuni compagni, venne catturato e ucciso

e Catone, due dei maggiori comandanti rimasti della parte pompeiana, avevano costituito un nuovo esercito e riorganizzato la resistenza repubblicana. A Labieno fu affidato il comando di un'armata nei pressi di

, a circa quattordici miglia ad est della Mosa. Labieno ricorse a uno stratagemma: fece credere al nemico di essere stato terrorizzato dal suo gran numero e di aver deciso di far ritorno al campo base, ma quando i Treveri, passato il fiume in massa, si misero all'inseguimento dell'esercito romano, che credevano essere in fuga, trovarono al contrario un'armata schierata che li stava aspettando. La battaglia fu favorevole ai Romani, i quali non solo riuscirono ad ottenere la resa di questo popolo e la fuga dei parenti di Induziomaro, ma trasferirono il potere nelle mani di Cingetorige, da sempre principe filo-romano dei Treveri.




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Ultimo aggiornamento pagina:

26 Dicembre 2021

23:38:43